Pietro Aretino_Sonetti lussuriosi
XIII
Dammi la lingua, appunta i piedi al muro;
stringi le coscie, e tienim stretto, stretto;
lasciat’ire a riverso in sul letto
che d’altro che di fotter non mi curo.
Ai! Traditore! Quant’hai il cazzon duro!
O! come? su la potta ci confetto!
Un dì, tormelo in culo ti prometto,
e di farlo uscir netto t’assicuro.
– Io vi ringrazio cara Lorenzina,
mi sforzerò servirvi; ma spingete,
spingete come fa la Ciabattina.
o farò adesso, e voi quando farete?
– Adesso! dammi tutta la linguina.
Ch’io muojo. – Et io, e voi cagion ne sete;
adunque voi compirete?
– Adesso, adesso faccio, Signor mio;
Adesso ho fatto. Et io; ohimè! o Dio!
XIV
Non tirar, fottutello di Cupido,
la cariola; fermati bismulo;
ch’io vo‘ fotter in potta e non in culo
costei, che mi togl’il cazzo e me ne rido.
E nelle braccia le gambe mi fido,
e si disconcio sto (e non t’adulo)
che si morrebbe a starci un’ora un mulo
che fottendo a disaggio, mi disfaccio.
E se voi, Beatrice, stentar faccio,
perdonar mi dovete, perch’io mostro
che fottendo a disaggio, mi disfaccio.
E se non ch’io mi specchio nel cul vostro,
stando sospeso l’uno e l’altro braccio,
mai non si finirebbe il fatto nostro.
O cul di latte e d’ostro!
Se non ch’io son per mirarti di vena,
non mi starebbe il cazzo ritto appena.
XV
Il putto poppa, e poppa anche la potta;
a un tempo, date il latte e ricevete,
e tre contenti in un letto vedete:
ognuno il suo piacer piglia a un otta.
Aveste fottitura mai sì ghiotta,
fra le migliaie che avute ne avete?
In questo fotter più festa prendete,
ch’un villan quano ei mangia la ricotta.
– Veramente egli è dolce a cotal modo,
il fotter reverendo, il fotter divo;
e come io fossi una Badessa godo;
e si mi tocca a la gran foia il vivo
questo strenuo tu bel cazzo sodo,
ch’io sento un piacer superlativo.
E tu, cazzo corrivo,
in le gran frette la potta ti caccia,
e stacci un mese, che ‚l buon pro ti faccia.
XVI
Sta cheto bambin mio; ninna, ninna!
Spinge, maestro Andrea, spinge ch’ei c’è.
Dammi tutta la lingua, ai! ohimè!
Che il tuo gran cazzo all’anima mi va.
– Signora, adesso, adesso v’intrerà;
cullate bene il fanciullin col piè,
e farete servizi a tutti e tre:
perché noi compiremo, ei dormirà.
– Io son contenta; io cullo, io meno, io fo;
culla, mena e travagliati ancor tu.
– Mammina, a vostra posta compirò.
– Non far! fermati, aspetta un poco più,
che tal dolcezza in questo fotter ho,
ch’io non vorrei ch’ei finisse mai più.
– Madonna mia, orsù,
fate, di grazia! Or, da che voi, così,
io faccio; e tu, farai? – Signora, sì.
Inizio pagina
Libro Secondo
Altri sonetti lussuriosi
proemio.gif (1926 byte)
Questo è un libro d’altro che Sonetti,
di Capitoli, d’Egloghe o Canzone;
qui il Sannazaro o il Bembo non compone
né liquidi cristalli, né fioretti.
Qui il Bernia non ha madrigaletti,
ma vi son cazzi senza discrezione,
ecci la potta, e ‚l cul che gli ripone,
come fanno le s**tole a‘ confetti.
E qui son gente fottute sfottute,
e di cazzi e di potte notomie,
e nei culi molte anime perdute.
E ognun si fotte in le più leggiadre vie,
ch’a Ponte Sisto non sarian credute,
infra le puttanesche gerarchie.
Et in fin le son pazzie
a farsi schifo di sì buoni bocconi,
e chi non fotte ognun, Dio gli perdoni!
I
Veduto avete le reliquie tutte
dei cazzi orrendi in le potte stupende;
et avete visto far quelle faccende
allegramente a queste belle putte;
e di dietro e d’inanzi darle frutte,
e ne le bocche le lingue a vicende:
che son cose da farne le leggende,
come che di Morgante e di Margutte.
Io so ch’un gran piacer avete avuto,
a veder dare in potta e‘ n cul la stretta,
in modo che più non s’è fottuto.
E come spesso nel naso si getta
l’odor del pepe o quel dello starnuto,
che fanno starnutar un con gran fretta
così nella braghetta,
del fotter a l’odor corretti sete;
e toccatel‘ con man, se nol‘ credete.
II
Madonna, dal polmone è vostro male:
il rimedio c’è pronto, se volete
alzar le coscie più che potete
per ricever in cul un serviziale.
Questo val meglio che acqua pettorale,
madonna; v’assicuro el trovarete.
– Orsù, Messer, poi ché questo credete,
di guarirme più tardar non mi cale.
Ecco il cul, alerta! Ohimè! Che fate?
Gli è differente il tondo dal fesso;
non è il patto che mi facesti adesso.
Pian, che gli è grosso, mi storpiate!
– Madonna, volete che vi dica il vero?
Quel mio cazzon duro, so che guarisce
polmon anche la tosse.
– Pur che duri tal festa, di guarir spero;
ma di finir così presto mi dispero.
III
Dialogo: Aretino, Franco.
A. Dunque, ser Franco, il Papa fé davvero?
F. Cazzo! lui mi fé porre il laccio al collo,
e sù le forche dar l’ultimo crollo.
A. La Poesia?… F. La non mi valse un zero!
Anzi, lei mi fu il boia. A. A dirti il vero,
mai ti vedesti di dir mal satollo.
F. Il cancaro che ti mangi, e chi pensollo!
Fu il non saper mostrar per bianco il nero.
A. Diceasi in Roma, che eri mal Cristiano;
intesi non so che di Sodomia…
F. Becco cornuto, tu sei l’Aretino!
Bardascia, bugerone, luterano,
ch’hai più corna che compar Cristino!
A. Menti! F. Mento? il mal’anno che Dio ti dia!
IV
Morendo su le forche, un Ascolano,
qual era avvezzo a scaricar la foia,
vide, torcendo il capo, il culo al boia,
che li facea su ‚l collo un ballo strano.
Subitamente, o fragil senso umano!
il cazzo se gli arrizza, ancor che moia;
ma non se ‚l mena già, che gli da noia
l’aver legata l’una e l’altra mano.
Così all’inferno, a cazzo ritto è andato,
e al Nemico, in vece di saluto,
dentro del negro cul l’ebbe ficcato;
poi ringraziollo e disse: – O Pluto,
tu hai le corna ed io ti ho buggerato;
dunque ti posso dir becco fottuto.