Le passioni di Katy
Era un pomeriggio di alcune estati orsono; mi arrivò un sms da parte di una ragazza che lavorava con me da un paio di settimane.
“Devo parlare con te: ho un problema di lavoro.”
“Va bene – risposi – ci troviamo stasera, in centro, alle nove.”
“Si, aspettami.”
“D’accordo – aggiunsi scherzando – ma ti voglio vedere in minigonna, calze a rete e reggicalze!”
Non ricevetti risposta, pensando che si fosse offesa.
Quella sera la attesi sul luogo fissato ed anche lei arrivò puntuale.
“Sarà meglio che andiamo da un’altra parte perché non vorrei che qualcuno mi riconoscesse.” disse.
Non obiettai e la feci salire sulla mia auto; la osservai: capelli castano chiaro e lunghi, indossava una gonna leggera, chiara, plissettata, che le arrivava quasi alle ginocchia, una camicetta chiara e portava uno zainetto.
Dopo una decina di minuti di strada, parlando di futilità, arrivammo in una cittadina ed individuammo un bar nel quale fermarci a parlare; era un locale con un giardino estivo, senza clienti, qui ci sedemmo ad un tavolino, uno di fronte all’altro e lei con la schiena rivolta verso il bar. Il barista ci portò la consumazione richiesta.
La ragazza mi raccontò il fatto accaduto e dopo pochi minuti avevo trovato la soluzione; il clima si fece più disteso.
“Ma io non ti avevo detto che ti volevo vedere in mini e reggicalze?” dissi scherzando e, lei, sollevò gli occhi verso l’alto sbuffando leggermente.
“E no, i patti sono patti!” continuai sfrontatamente e guardandola negli occhi.
Lei diede un’occhiata in giro e, lentamente, fece scivolare la mano destra verso la gonna e la tirò verso di se: non erano le calze a rete, ma erano trasparenti, sorrette da un reggicalze ed indossava un tanga di colore chiaro.
“Caspita, che sexi!” sbottai vedendo tanta grazia.
“Ti va bene anche così?” mi chiese maliziosa e riassettando la gonna.
“Non c’è male, – risposi con la gola chiusa – ma dato che ci sei, perché non ti togli anche il tanga e mi fai vedere il resto?”
“Ehi, ma …?” rispose stizzita e fulminandomi con lo sguardo.
“Ops; – pensai – ho fatto una gaffe bestiale!”
La ragazza si alzò di s**tto portando con se lo zainetto ed entrò nel bar; accesi una sigaretta meditando sulla cazzata che avevo fatto, ma non riuscii ad aspirare la quarta boccata che lei era di ritorno, risedendosi al suo posto.
“Beh, – chiese – adesso non mi dici niente?”
La guardai stupito, senza comprendere il significato delle sue parole.
Depose lo zainetto a terra e, con la mano destra, afferrò il lembo della gonna raggomitolandola verso di se, scoprendo le cosce fino al pube. Non c’era tanta luce, ma vidi chiaramente che si era tolta gli slip: la passera era tutta depilata e le grandi labbra erano gonfie.
“Cazzo, che figa che sei!” dissi strabuzzando gli occhi.
“Ti piace?” chiese maliziosa.
“E c’è da chiederlo? Te la leccherei fino a consumartela, di tanto che mi piace vedertela così!”
“Mmmh!” soffiò dal piacere di mostrarsi, riabbassando la veste ed accavallando le gambe.
“Dai, non fare l’egoista – protestai – rialza la gonna e fammela vedere!”
Sorrise, soddisfatta e, accertandosi che in giro che non ci fossero spettatori inopportuni, riaprì lentamente le gambe e risollevò la gonna.
“Mi hai fatto venire l’uccello duro come un legno! – le dissi – Dai, apri un po’ la figa con le dita.”
Abbassò anche l’altra mano fino a che, con due dita, riuscì a divergere le piccole labbra; io la guardavo inghiottendo a fatica la saliva.
Iniziò lentamente, quasi impercettibilmente, a roteare le due dita sul clitoride e muovendo le anche sulla sedia; sbuffò, alzando leggermente la testa verso l’alto e soffiando fuori l’aria.
Si fermò, ricomponendosi e guardandomi soddisfatta.
“Che troia, che sei: mi hai fatto eccitare così tanto che ancora un poco mi sborro nelle mutande.”
“Vedi, – ridacchiò – questa è una cosa che noi donne possiamo permettercelo e voi no!”
“Che cosa?”
“Venire, senza farci scopare: ho avuto un orgasmo!”
“Ma dai?!”
“Certo: sono tutta bagnata!”
“Ma figurati!”
Diede ancora un’occhiata in giro e si infilò una mano sotto la gonna; la estrasse e, piegandosi verso di me, avvicinò il dito medio infilandomelo in bocca.
“Senti? – mi chiese; il dito era bagnato e odorava di figa – E dovresti vedere come è ridotta la mia passera: completamente fradicia!”
Rimasi sbalordito ad osservarla che sorrideva, soddisfatta.
“Davvero! – continuò, meravigliandosi del mio stupore – Guardala un po’, se ce la fai!”
Ero intontito da tale offerta; mi tolsi l’accendino dalla tasca dei jeans, smoccolando a causa della turgidità del mio uccello e che mi impediva una manovra veloce. Piegato leggermente in avanti, accesi la fiamma ad una spanna dalle ginocchia della ragazza, lei allargò le cosce e sollevò ancora la gonna; la figa era socchiusa e gocce di liquido luccicavano sulla parte esterna delle piccole labbra: restai per una decina di secondi ad osservare quello spettacolo estasiante!
Spensi la fiammella, raddrizzandomi e massaggiandomi l’uccello che stava per esplodere.
“Basta! – dissi sconfortato – Basta, non ce la faccio più: ti va bene se non ti saldo addosso e di trombo qui, in mezzo alle case!”
“E allora andiamo via di qui!” mi rispose seria.
“Non ce la faccio – risposi – ho l’uccello talmente duro che, con questi pantaloni attillati, si vedrebbe a chilometri.”
“Vado io davanti, così tutti guarderanno me!” rispose decisa e alzandosi dalla sedia.
La seguii di qualche metro, impacciato nel movimento; buttai l’occhio sul suo fondoschiena e vidi chiaramente una macchia sulla gonna, all’altezza del suo culo: aveva sborrato abbondantemente, non mi aveva raccontato storie!
Raggiungemmo l’auto che era parcheggiata in una viuzza fuori dal traffico; le aprii la portiera, come cortesia, ma più ancora nella speranza di vedere la gonna alzarsi e vederle nuovamente le cosce e la figa; stavolta mi andò male.
Salii dalla mia parte e, mentre stavo per allacciarmi la cintura di sicurezza, lei si piegò verso di me, appoggiò una mano su pantaloni aprendo con agilità la cerniera.
“Cosa stai facendo?” le chiesi meravigliato.
“Stai zitto! – mi ordinò, tirandomi fuori con forza il cazzo ed infilandoselo in bocca – Stai tranquillo: ti faccio una cura che ti farà passare questo gonfiore!”
Non avevo nessuna voglia di contraddirla, con quella bocca stava lavorando da vera esperta: con velocità da vera professionista ingoiava l’uccello fino a che non le toccava la gola e poi risaliva fino a che le sue labbra non sentivano il frenulo.
Io ero appoggiato sul sedile e con la mano destra appoggiata sul suo culo; dopo avere alzato la gonna, la feci scivolare fino in mezzo alle sue cosce; cercai la sua passera e la trovai facilmente perché la ragazza divaricò le gambe come per aiutarmi. Tastai le sue labbra, bagnate fradice e infilai il dito medio, agitandolo lentamente avanti e indietro.
Andammo avanti per un paio di minuti fino a che sentii la mano bagnarsi dell’umido della sua figa e la ragazza che, continuando a spompinarmi, mugugnava di piacere: era venuta un’altra volta!
Sentii una stretta nell’uccello e la sborra che risaliva fino ad uscire; la ragazza si accorse del mio movimento in avanti e si attaccò ancora di più al mio cazzo, come una ventosa, e come una ventosa la sentii risucchiare tutto quello che mi stava uscendo.
Mio abbandonai completamente sfinito sullo schienale: era stata eccezionale.
“Ecco, così siamo a pari! Tutti e due abbiamo sborrato!” disse, ansimando, adagiandosi anche lei sullo schienale del suo sedile.
Attendemmo qualche minuto e poi ripartimmo.
Ho rivisto ancora parecchie volte quella “brava” ragazza e lei, sapendo quello che mi piaceva, si è sempre presentata con un abbigliamento simile; ogni volta è stato un soddisfacimento completo per entrambi: a lei piaceva mostrarsi “porca” in pubblico ed a me piaceva vederla comportarsi da troia.