La mamma
Tra le donne l’amore è contemplativo, non v’è lotta né vittoria, né sconfitta, ognuna è soggetto e oggetto, schiava e padrona.
Simone de Beauvoir
1
La signora Thorn era in ritardo, un ritardo notevole, e se ne rammaricò.
Il suo “angioletto” oramai doveva dare per scontato che, per quel giorno, non sarebbe andata da lei. Invece, una serie infinita di beghe e di contrattempi le avevano del tutto sfasata la tabella di marcia ma lei era fermamente decisa a passare da sua figlia, almeno per il bacio della buonanotte.
Il taxi raggiunse in fretta l’ospedale; pagò rapidamente e scese. Aveva ancora un ostacolo da superare: il controllo severo degli orari di visita. Per quello, puntava tutto sul suo fascino che, nonostante si avviasse per la cinquantina, sembrava avere ancora un potente ascendente sul Professor Claim, il capo del reparto di Pneumologia; appunto quello dove il suo “angioletto” era in degenza da oltre 20 giorni.
La caposala del turno serale era Wanda, la conosceva e sapeva di poter contare sulla sua complicità. Wanda, invece, aveva adottato sua figlia, Thess e la coccolava con delicatezza… nonostante la sua stazza da lottatore di Sumo.
Un brivido maligno attraversò la schiena della signora Thorn, era sempre lo stesso, quello che provava tutte le volte in cui, come un flash fotografico, si vedeva comparire nella mente l’immagine di Thess, abbarbicata a un’altra donna in maniera oscena e provocante.
La sua piccola, perversa, bambina che riusciva sempre a fustigare il suo cuore di mamma…
2
“S’è fatto tardi… mamma non verrà più.” pensò Thess guardando fuori la sera incombente. Lontano, sulla tangenziale, le automobili scorrevano tranquille, molte riportavano a casa la gente dal lavoro.
Le era sempre piaciuta la sera; la strada si tingeva dello stesso colore umido di uno specchio d’argento. Le luci lontane dei palazzi e i fari delle macchine intarsiavano, sul pavé, immagini distorte e affascinanti.
Forse quei riflessi impalpabili erano una delle rappresentazioni più romantiche della modernità.
Thess si sentiva meglio, molto meglio. Una bronchite trascurata aveva invaso i suoi delicati polmoni; adesso il peggio era passato e il giorno dopo sarebbe uscita, finalmente.
Thess non era più una ragazzina ma era ancora abbastanza giovane da desiderare la gioia, il divertimento e l’aria aperta. Nonostante la malattia, aveva apprezzato quella pausa forzata; aveva avuto l’opportunità di rinsaldare il rapporto con la mamma.
Niente di grave… solite tensioni: a lei non piaceva troppo il compagno di sua madre e sua madre non era raggiante per la sua amicizia, assai intima, con Layla.
Con lei condivideva lo stesso appartamento; si amavano da tre anni ma senza impegno, senza paletti. Layla amava sentirsi libera e Thess aveva imparato a non soffrirne.
La sua compagna era venuta in ospedale solo due volte, poi, appena lei era migliorata, con grande tatto aveva lasciato campo libero alla madre. Che dolce; non l’aveva mai fatta sentire sola, però. Le mandava continui messaggi per dirle quanto le mancassero le sue labbra…
Il corridoio dell’ospedale era silenzioso e tranquillo.
Thess diede uno sguardo al cellulare per controllare l’ora; avevano appena lasciato il vassoio con la cena, la prossima visita, probabilmente della Caposala, sarebbe avvenuta non prima di un’ora… con le dita affusolate e rapide, cercò l’ultimo messaggio della sua amante.
Sentì caldo al cuore e scrisse, quasi automaticamente:
„Non ce la faccio più, amore, adesso mi frugo tra le cosce per cercarti…“
Invio!
Le parole scritte fecero ancora più effetto sulla sua libidine a lungo trattenuta.
Thess aveva trentatré anni, era appena tornata a essere una ragazza forte e in salute, dopo oltre un mese di astinenza forzata, l’inguine le „coceva“ alla ricerca di un solido refrigerio.
Aprì la cartella segreta del cellulare e sfogliò con incalzante eccitazione le immagini che ritraevano Layla, spogliata o del tutto nuda: in certe pose dolce come un’educanda, in altre sguaiata come una prostituta.
Thess si guardò le mani, quel giorno si era dedicata al suo corpo e alla fine si era concessa un’approfondita manicure. Lo smalto rosso fuoco era l’omaggio, il richiamo per dire alla sua donna:
„Amore, sono tutta tua…“
Le manine dalla pelle deliziosa e le dita curate affondarono sotto le lenzuola, mentre Thess si cercava i seni sodi e proporzionati e la natura, calda e umidiccia.
Sua madre non sarebbe venuta più… non le dispiacque, adesso. O meglio, ora da porcellina, sperava che venisse e la vedesse mentre si dava piacere… come accadeva spesso nei suoi sogni segreti.
Il calore intimo di Thess non chiedeva di meglio che essere imbrigliato in un desiderio; come un fiume incandescente che cerca uno sfogo adeguato e consolatore al suo bruciare.
Thess non si toccava da tanto.
Iniziò con delicatezza estrema: ogni volta che si masturbava le sembrava di incontrare il suo corpo per la prima volta. Socchiuse gli occhi, iniziò a distaccarsi dal mondo; l’elettricità che si sviluppava quando il suo stesso palmo passava, con finta indifferenza, sul clitoride sensibile, si trasformava in piccole esplosioni colorate che le avviluppavano la mente e le davano la sensazioni di sprofondare.
Col filo dei pensieri provò a raggiungere Layla, il suo amore distante, ma poi, a mano a mano che l’eccitazione saliva di tono, i suoi ricordi e le sue fantasie divennero più turpi e intrise di voglia.
La sua piccola figa era già densa di umori, dentro, ma alle grandi labbra, gonfie e socchiuse, arrivava solo un sottile velo di umidità calda. Thess sapeva che il secco sarebbe diventato umido e l’umido… bagnato, ma non volle forzare la mano. Avrebbe potuto “imburrare” subito le dita, affondandole nella saliva, per poi spingerle, voraci, nel suo spacco, che adesso vibrava di desiderio invece decise di attendere. Non aveva fretta, non c’era nessuno e poi, come le capitava di pensare quando andava a caccia del piacere, non avrebbe chiesto di meglio: essere vista… spiata, mentre era veramente se stessa. Quando l’angelo diventava assatanato, quando da „dolce“ si faceva furia.
La mano sinistra tirò verso il basso il capezzolo turgido, assieme alla sua aureola, altrettanto gonfia e soda.
Un fruscio? Forse…
Ma no: impossibile!
3
Per alcuni minuti Thess si abbandonò completamente sul lettino.
Il silenzio della sera favoriva la concentrazione, era facile godersi quegli attimi di sensualità. Finalmente!
Poco prima di iniziare a masturbarsi più intensamente, prima di smettere le carezze preliminari, e poi lanciarsi in un sano e sconnesso ditalino, si fermò e, in punta di piedi andò a controllare la porta del ballatoio. Era chiusa ma non a chiave, non era un problema.
Oltre la porta il corridoio era deserto.
Lasciando socchiuso l’uscio della sua stanza, Thess cercò di garantirsi la possibilità che, se qualcuno avesse aperto la porta dal corridoio, lei avrebbe sentito.
Non le andava di farlo nel bagnetto spoglio dell’ospedale.
Come faceva a volte, mise il cuscino di taglio al centro del letto, poi tolse via il pigiama e le mutandine bianche. Aprì l’anta dello stipo metallico, uno specchio non troppo grande le permetteva di vedersi.
Il suo monte di venere era coperto da una peluria bionda. Sorrise, senza abbandonare il calore: aveva bisogno di un’urgente depilazione ma, allo stesso tempo, quell’immagine della sua natura un po‘ selvatica le fece mordicchiare il labbro, sempre più vogliosa.
Tornò sul letto e riprese a masturbarsi, stavolta decisa, penetrandosi con le dita e poi spingendo col bacino sul cuscino, ritmicamente. Quando i polpastrelli erano fuori, si concedeva un veloce frullio sulla clitoride, che sbocciava dalla figa sempre più dura e puntuta. Ora era tutta bagnata.
– Ok, ringrazi di essere la mamma di Thess… – disse sorella Wanda, posando il telefono.
Era in ritardo con l’attività e aveva fretta di concludere il turno; quella sera avevano ospiti. Per fortuna suo marito era un bravo intrattenitore: gli amici si sarebbero accontentati degli antipasti che aveva preparato e, dopo, di una bella fetta di „Capricciosa“; certi napoletani avevano aperto una Pizzeria pochi giorni prima, proprio nel suo quartiere.
La guardia notturna indirizzò un sorriso complice alla bella signora e la lasciò entrare, come se decidere fosse dipeso da lui… un classico.
La signora Thorn percorse silenziosamente i corridoi deserti, felice di essere riuscita a passare dalla sua „bambina“ almeno per un „Ciao!“. Il giorno dopo Thess sarebbe uscita e i loro rapporti sarebbero tornati normali e, purtroppo, distanti…
Davanti alla porta della camera rammentò le raccomandazioni di Wanda, la Caposala:
„Faccia piano, può darsi che la ragazza si sia appisolata.“
Girò la maniglia lentamente; l’anticamera era buia, la stanza di Thess, invece, era illuminata leggermente, abbastanza da permetterle di vedere bene… sussultò!
Thess era accovacciata sul letto, nuda dalla cintola in giù. Si strusciava su un cuscino e si toccava, gli occhi socchiusi. Sul viso angelico, le labbra, tirate tra i denti, mostravano in pieno la sua goduria.
La mamma rimase immobile, imbarazzata, sconvolta: non se l’aspettava… poi, anche se sapeva di spiare, restando in silenzio indagò con gli occhi il corpo meraviglioso e discinto di Thess…
4
E accadde di nuovo.
La signora Pamela Thorn si ritrovò all’improvviso di fronte alla stessa situazione che già in passato aveva messo sotto pressione il suo autocontrollo.
Pamela amava la sua Thess di un amore profondo, era la sua unica figlia ed era una ragazza, una donna, del tutto speciale.
Thess era talmente dolce, quieta e amabile, da divenire ancora più bella di quanto lo fosse per natura. La madre lo leggeva, godendone, anche negli occhi degli altri: nessuno resisteva al suo fascino semplice, qualcuno ne restava incantato…
“Quella madre” era una donna colta, emancipata… aveva lavorato, viaggiato, e aveva anche dovuto fare i conti con la sua complessa sessualità: Pamela era Bi-sex.
Fin da ragazzina aveva provato le stesse curiosità, le stesse pulsioni, sia nei confronti della potente virilità maschile che verso la deliziosa sensualità femminile, fatta di velature, di attese… di fremiti.
Si appoggiò alla porta appena chiusa dietro lei, cercando di non far rumore. Vedeva abbastanza dei moti di Thess, e non aveva bisogno di essere morbosa… restò nel buio, vegliando il piacere della figlia, col cuore stretto nella morsa della passione. Adesso aveva avuto tutto il tempo di eccitarsi; adesso, aveva il cuore pazzo e il fiato corto.
E così si abbandonò al sogno per ingannare il desiderio…
***
Amore mio, lo so!
Conosco i tuoi palpiti, e sono certa che anche tu vorresti… perché anch’io lo vorrei e, sono certa, che sarebbe meraviglioso, indimenticabile. Eppure sono altrettanto sicura che soffrire per questo inconfessabile desiderio, lo renda ancora più bello, più estenuante: eterno!
Se appagassimo la nostra brama, se facessimo ciò che desideriamo, perderebbe la sua forza, si sfumerebbe, trasformandosi in carne, e sangue; e perderebbe tutta la sua struggente poesia. Dopo, niente sarebbe più lo stesso tra di noi ed io non voglio perdere l’innocenza di poterti guardare nel profondo degli occhi, attraversandoti fino al cuore.
Ricordo, tanti anni fa, ti sorpresi ugualmente a cavalcare il grande cuscino che tenevi accanto al letto. Era tardi, la tua porta era difettosa. Venni da te in punta di piedi, per controllare che il mio tesoro dormisse, tranquilla, e invece, dallo spiraglio, ti vidi.
Mi è sempre piaciuto pensare che per te quella fosse stata la prima volta. E ricordo l’effetto devastante, inatteso, che la scena ebbe su di me; il basso ventre mi esplose. Un calore mi prese nell’inguine, così improvviso da sembrare un colpo. Poi, come miele, un fluido tiepido si spargeva anche nelle mie mutandine, senza nemmeno aver bisogno di toccarmi.
Che scena, amore: “cavalcavi” con la testa indietro, gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta. Eri l’estasi!
La corta canottiera bianca celava il petto sottile, mentre due mele acerbe tenevano puntuti i capezzoli, più scuri, che s’intuivano dalla leggera trasparenza. Poi ti inarcavi, ti piegavi davanti, e la boccuccia seguiva la passione, socchiusa, a formare un cuore; soffiavi fuori l’alito, come un piccolo putto che tenta di creare nuvolette deliziose in un affresco celestiale.
Ero là, bloccata, incapace di recedere, incapace di reagire; nella testa un orgasmo più potente e intimo di quelli provati in un rapporto carnale.
Che spettacolo eri; che spettacolo che sei!
Il culetto nudo che si muove ritmico e deciso: avanti, indietro, strisciando la vulva dischiusa sul cuscino… calando, premendo, cercando invano una penetrazione, tanto impossibile, quanto desiderata.
Adesso hai la mano tra i capelli lunghi, ti carezzi fino alle tempie, le immagino di fuoco.
Sei sempre stata bellissima, mio tesoro, ma la bellezza che sprigioni in questo momento mi spezza l’anima, mi dà un senso di impotenza. Non so cosa pensare: vorrei esporti al mondo per mostrarti, orgogliosa e, allo stesso tempo, sono gelosa di tutti e ti vorrei tenere solo per me, per sempre segregata in una gabbia d’amore, alimentata solo dalla mia passione.
C’è magia in ciò che vedo davanti a me: una Ninfa, ecco. Capisco ora che i grandi poeti, gli artisti, devono per forza aver provato, aver visto uno spettacolo come questo. La mia anima vibra condividendo ogni poesia e ogni estasi dell’Arcadia.
E poi, lo strappo nell’anima: la contrapposizione lubrica del tuo piacere tremendo, affascinante, una calamita che invita a peccare e la poesia, che si fa carne e agogna carezze intime, lascive… bagnate.
Ora come allora mi costa tanto trattenermi. Vorrei saziarmi delle tue membra, stringere la pelle tenera tra le dita, entrarti nei buchi umettati, succhiarti i sapori, dalla saliva dolce all’estro, acidulo e peccaminoso.
Ritorno a quella notte: ti lasciai solo quando, stremata e paga, ti accasciasti sul lettino alla ricerca del sonno ristoratore. Non fiatai, non dissi nulla. Solo la mattina, quando allegra e innocente partisti per la scuola, corsi in camera tua per abbracciare quel grande cuscino. Non mi vergogno, anzi, ammetto che fui felice di cercare le “tue” macchie sulla stoffa, per poi annusare, come un segugio, quelle tracce. Quei profumi segreti che, nella vita di tutti i giorni, mi erano proibiti.
Era come una droga per me, e il sangue mi salì alla testa mentre sprofondavo il naso e la bocca schiusa in quel residuo di calore.
5
“E’ da allora che ti spio, amore mio dolcissimo!”
Lo ammetto, anche ora, con un sorriso complice e impertinente che tu potresti solamente intuire.
Da allora seguo segretamente, quando posso, tutto quello che ti accade. Dietro la mamma che si è prodigata per te, che ha seguito apprensiva la crescita, i primi ostacoli, le gioie e i piccoli drammi, si nasconde un’amante mancata. Un’amante che trepida nell’ombra e che segue la tua vita segreta, erotica; quella parte di sé che le figlie tengono celata alle mamme, per poi spiattellarla sguaiatamente alla prima sciacquetta che capita a tiro… è la vita.
Ma io non l’ho accettata!
Ecco perché ti ho spiato gioia mia. Non potevo più rinunciare a te: lo sforzo che ho dovuto sostenere sempre per trattenermi dal toccarti, era già troppo doloroso per res****re oltre… ecco perché ho cercato, in segreto, di indagare le tue passioni.
Ti ho seguita quando crescevi, e cambiavi; il “nuovo” in te che ti rendeva ogni giorno più donna, più desiderabile.
Quando potevo ho seguito di nascosto i primi giochi erotici: ricordo Fabiana, la figlia di Rosy, la nostra vicina.
Rosy, allora, era la mia amante, occasionalmente. Tuo padre non avrebbe mai capito le mie esigenze e la mia sessualità complessa…
La sorte volle che Rosy fosse sola e che, alla fine, accettasse di dividere con me qualche ora di piacere. La voglia di femmina che tu m’istigavi, la sfogavo tra le sue braccia burrose.
Lei non poteva saperlo, ma quando la leccavo intimamente fino a sentirla squassata dall’orgasmo, spesso era te che desideravo, che sognavo di profanare.
Fu proprio Fabiana a condividere con te i primi toccamenti. Nella sua camera, quando entrambe pensavate di essere al sicuro, vi spiavamo, ed io nascondevo la mia gelosia, sotto un sorriso indulgente e falso.
Quando Rosy mi fece partecipe dei suoi rapporti con la stessa figlia ne rimasi prima colpita, poi estasiata. Una volta poi partecipai ma senza riuscire a fare nulla, forse le delusi; spero solo di non averle messe a disagio. Ero completamente incantata da quella loro confidenza così intima, dal loro scambiarsi il piacere: madre e figlia, amanti deliziose, godevano l’una dell’altra. Mai l’amore avrebbe potuto manifestarsi in forma più intensa.
Le invidiai, fui tentata di spezzare l’incantesimo… il desiderio di goderti mi tormentava, però ho resistito.
Qualcosa mi ha bloccata dal fare l’ultimo passo, quello decisivo, sempre…
Poi arrivò Flora, la mia vecchia amica, era stata la mia prima amichetta nei giochi più perversi. Ti affidai a lei, sapendo che ti avrebbe presa, la conoscevo bene, ma non ne abbiamo mai parlato apertamente.
Avere scelto consapevolmente la tua “maestra” del sesso mi faceva godere di un piccolo senso di potere su te, effimero certo ma era pur sempre qualcosa.
Mi sembrava di essere partecipe, indirettamente, di un gioco a cui non ero invitata. So tutto, anche di voi due: capivo, spiavo, intuivo ogni cosa dalle sue mezze frasi… so anche che fu lei a farti provare la penetrazione e il primo maschio. Fu lei a farti sverginare, sotto il suo sguardo attento, lascivamente materno… ed io, io non potevo che accontentarmi delle briciole della vostra profonda passione.
E sì, amore mio dolcissimo… lo ammetto: ti ho sempre seguita, andando oltre, scendendo nei tuoi meandri segreti. Anche adesso, anche quando sei con Layla, la tua compagna.
M’inebria il profumo che emanate. Quando vengo a casa vostra amo l’odore della vostra camera, vorrei diventare un ninnolo del vostro “secretaire” per potervi vedere durante le notti di passione.
Quando capita di stare insieme, tutt’e tre, faccio del mio meglio per lasciarvi sole, cerco sempre una scusa, faccio finta di ritirarmi: ho sempre la speranza che l’attrazione e l’eccitamento vi attirino l’una tra le braccia dell’altra.
Qualche volta sono stata fortunata… spero non vi siate accorte di me, ma io vi ho osservate, per quanto possibile e ho goduto, come se fossi stata là, subissata tra le carezze e i baci segreti.
Sono quasi certa che tu lo sai.
Lo sai che ti guardo e che ti desidero, e sono anche sicura che lo desideri quanto me… e anche Layla ha capito.
Credo che a volte lo faccia apposta a stuzzicarti. Lei sa quanto diventi angelica nel viso quando ti masturbi, innocente e peccaminosa, allo stesso tempo.
Una volta l’ho vista, seduta sul pavimento, non faceva niente, guardava te che, sul letto, ti masturbavi. Cominciasti seduta, piano piano, poi apristi le cosce e le alzasti verso l’alto puntando la schiena sul materasso. Il tuo frutto era aperto e colava, le tue dita frugavano instancabili, il clitoride sembrava voler esplodere.
Layla intervenne solo dopo il tuo orgasmo; salì a sua volta sul letto e ti tenne tra le braccia, calmandoti con le sue carezze.
Vidi tutto, e dopo ho sempre pensato maliziosamente che, in quella stanza, c’era troppa luce per non immaginare che avreste potuto essere viste… e assai bene!
Che meravigliosa sensazione desiderare, sperare, in tanta complicità… è anche questa, la sensazione, che accompagna e favorisce i miei orgasmi silenziosi.
6
Adesso, come allora, dal mio angolo buio ti osservo venire e pure io con le dita mi cerco la figa, la spalanco e mi bagno, poi porto le dita alla bocca e suggo il mio sapore, sognando di sentire il tuo… quel sapore vietato alle mie labbra di madre.
Mentre mi frugo ancora una volta la vagina, ripenso a quello che ho provato non troppo tempo fa… il giorno del mio compleanno.
Non volevi lo spumante, come al solito: tu non bevi.
Nell’atmosfera intima e giocosa, ti promisi un bacio per ogni bicchiere… a quel punto cedesti subito e bevesti.
E’ stata l’unica volta… forse perché avevo bevuto anch’io.
Ci baciammo, e non fu un bacio da mamma. Prima ci desiderammo le labbra e poi s’incontrarono le lingue piene di succo, cercandosi profondamente nelle bocche assetate.
Eravamo in piedi e le cosce s’intrecciavano, facendoci godere del calore della pelle liscia. Tu mi stringevi e spingevi il bacino a mio favore; stemmo così, strette e appassionate, sotto gli occhi discreti di poche persone amiche. Nessuno mai commentò quell’eternità finita troppo presto.
Poi un altro brindisi e poi gli auguri e… un bacio, un bacio ancora, tanto lungo e commosso da sembrare un addio… avevi perso la testa e mi tenevi la tetta in mano. Avevi perso il pudore, e mi s**ttavi con la lingua in bocca, dura, penetrandomi come un pene.
Ora, nascosta nella saletta della camera d’ospedale, assisto, come sempre… e godo: ma non entro!
Ancora una volta quest’amore resterà il nostro, e il sogno si perderà in un desiderio mai pago.
Ti masturbi incessante, spudorata e santa; sembra impossibile che il tuo viso nasconda un piacere tanto carnale sotto l’inguine, che cavalchi come una strega angelica sulla scopa del peccato.
Anche quella sera lo facesti.
Con la testa che girava, salisti piano in camera, ti denudasti languida e fingesti che io, la tua mamma, non ci fossi… almeno: mostravi di non vedermi!
Come eri bella, quando nuda e discinta, ti abbandonasti a un finto sonno.
Con le mani ti accarezzavi e io, quella volta, non riuscii a farmi indietro, restai sulla porta, in vista e soffrii; soffrii per lo sforzo amaro di trattenere il desiderio. Avrei voluto tuffarmi sul tuo corpo e perdermi tra i flutti della passione.
Quando sei stata pronta, con gesto quasi infantile, semplice, hai solo bagnato due dita sulla lingua, poi ti sei infilata “la micetta”, schiudendola del giusto, solo per provare il piacere della dilatazione.
Sei venuta quasi in silenzio, con un solo lungo sospiro; hai inarcato la schiena, per te… e per me.
Lo sapevi che vedevo, lo sapevi che anelavo te.
Poi, pian piano, il cuore abbassò il suo tambureggiare e il respiro divenne basso e regolare. Solo quando “la mia piccina” si addormentò soddisfatta, solo allora, raggiunsi il tuo letto e ti baciai a lungo la bocca umida.
Che gioia segreta rubai allora dalle tue labbra. Erano bagnate ancora degli umori lasciati dalle dita: quante volte erano passate dalla vulva quelle dita! E che profumo indescrivibile per il mio bisogno di te… ero vicinissima: sentivo il caldo che emanava dal bacino nudo e l’odore che la “fregna” aveva appena sfogato.
Invece di affogarti con la faccia tra le cosce per suggere il nettare di quel fiore, mamma ti copri, teneramente, col lenzuolo immacolato.
Quale regalo più dolce e appagante avrei mai potuto desiderare?
Poi, tutto venne cancellato dalle nostre menti e non ne parlammo mai più…
Ecco che il sogno volge al termine, torno coi piedi per terra e vengo pure io, tra le dita, cercando di non farmi sentire.
La mutandina assorbirà ancora una volta quell’ennesimo piacere: il tuo ennesimo dono in un rapporto incredibile e mai goduto appieno.
In punta di piedi vado via dall’Ospedale, felice.
Domani te lo dirò.
Te lo dirò che la tua mamma non ti abbandona mai, mio dolcissimo fiore profumato:
– Ma certo che sono passata, tesoro – dirò –ma tu… tu dormivi già! –
Entrambe sapremo che, ancora una volta, ti avrò mentito.
FINE
Giovanna
Questa storia è vera. Per quanto sensuale e peccaminosa, angelica o infernale, possa sembrare è vera.
Mi sono dovuto spogliare dei miei preconcetti e della mia educazione per poterla accettare… in parte capire e, in fine, amare.
La forza di questo racconto proviene anche dalla “Fonte”, la mia amica A. La ragazza più delicata, fine e sensibile che abbia mai avuto l’onore di incrociare. La stessa che, qualche anno fa, mi ha donato il racconto della sua giovinezza, da me condensata ne: La fata di ferro.
A lei va il mio ringraziamento e il mio affetto incondizionato.
Grazie A. dolcissima creatura, dovunque tu sia, forse non posso capirvi ma sono certa che dal vostro “esecrabile” senso dell’Amore nasce cultura, bene e rispetto, mentre dalla “morale”, tanto decantata, del “mio mondo civile” nasce avidità, menzogna, brama di potere e guerra.
Spesso, chi strilla per ergersi a professore, cerca solo di nascondere la sua incapacità di imparare, di cambiare la propria disponibilità alla tolleranza e al rispetto per gli altri.