Caldo torrido
Scese dall’autobus guardandosi attorno, si voltò a destra e vide il marciapiede deserto, si voltò a sinistra e incontrò il mio sguardo. L’autobus proseguì la sua corsa nel torrido e polveroso pomeriggio di luglio. Mi scrutò ancora un momento con la coda dell’occhio, prima di avanzare lentamente verso il quartiere. Eravamo soli, faceva troppo caldo, le lucertole al sole, sudavano.
Decisi di seguirla. Donna alta, sui quarantacinque, tacchi neri, gonna bianca. Lasciai cadere a terra il mozzicone di sigaretta, mentre fantasticavo su che tipo di intimo indossasse la signora. Un bel paio di mutandine nere, oppure bianche trasparenti, forse un minuto perizoma o forse, addirittura, niente. Di sicuro voleva sentirsi fresca, con quella canicola insopportabile. Le sue gambe, abbronzate, lisce. Semplicemente perfette.
Vedendosi seguita da uno sconosciuto, anziché aumentare la cadenza dei suoi passi, la rallentò. Fu lì che ebbi la piena e deliziosa conferma che avevo davanti a me proprio una gran troia. Svoltò l’angolo e per un attimo si fermò a fissare la vetrina di un negozio di pelletteria, mi tenni a distanza. Ma non guardava le borse in esposizione, anzi mi scrutava attraverso il riflesso provocato dalla vetrata. Lo stesso riflesso che a me portò l’immagine dei suoi occhi scuri, e per un momento mi parve di incrociare il suo sguardo. Occhi svegli e maliziosi, occhi che mi invitavano a seguirla. Aveva voglia la zoccola. E avevo voglia io. Decisi di stare al suo gioco, e così proseguimmo.
Arrivò dinanzi al portone di una palazzina residenziale, fece s**ttare la serratura automatica ed entrò, facendo attenzione a non chiudere il portone alle sue spalle. Lo lasciò socchiuso di proposito, sapeva che le sarei stato dietro, e così feci, varcando la soglia a mia volta, qualche passo indietro. Prese le scale, lasciando perdere la comodità dell’ascensore, aspettai che giungesse al primo pianerottolo prima di salire a mia volta. Quando fu sulla seconda rampa di scale alzai la testa per sbirciarle sotto le gonne. Il dislivello mi consentì di scrutare per bene il suo intimo e vidi un minuscolo perizoma nero che le avvolgeva completamente la vagina dalle labbra rigonfie, per poi sparire magicamente tra le chiappe di un culo perfetto. Fu come un colpo di grazia, ormai contenevo a fatica la mia voglia, che implacabile cresceva sempre più.
Il suo appartamento era al secondo piano, non appena la vidi armeggiare con le chiavi s**ttai quasi d’istinto, togliendole il vantaggio che le avevo finora concesso. Le fui addosso, la spinsi con violenza contro la porta di casa, e iniziai a baciarla sul collo. Era profumatissima. Mi lasciò fare, chiuse gli occhi cercando la mia bocca, e in un attimo sentii la sua lingua morbida che oscillava freneticamente a contatto con la mia. Era decisamente una gran puttana. Si mise in punta di piedi e, premendosi contro al mio corpo, iniziò a strusciarsi il sesso contro alla protuberanza causata dal mio in erezione dentro ai jeans che ora come mai sembravano stringere fino a farmi scoppiare.
La lasciai inserire la chiave nella toppa e fummo dentro. Mi resi conto solo allora di non aver pensato nemmeno un istante a chi potesse esserci all’interno. E se ci fosse stato suo marito? O suo figlio magari? Scacciai quel pensiero non appena realizzai che la stanza, immersa in una fresca e sensuale penombra, era completamente deserta. Chiuse la porta, lasciò cadere la borsa, dopodichè fu mia.
La guardai negli occhi, ci vidi una profonda voglia di scopare. Quella donna pretendeva, implorava di essere sbattuta con forza. Mi gettai sul suo corpo, annusandola ovunque, con le mani affondate nei suoi lunghi e lisci capelli scuri. Ci baciammo con avidità, ancora vestiti, fino a quando mi trascinò nella sua camera da letto. Chissà se divideva con un uomo quel letto matrimoniale oppure se viveva sola. Non mi interessava, non volevo saperlo. Iniziai a spogliarla, ovunque la sua pelle era bollente. Affondai la lingua nell’incavo stretto del suo ombelico perfetto, dopodichè salii, baciandole il ventre, fino al suo seno, prosperoso ma stretto all’interno del reggiseno nero di pizzo. Glielo liberai, e subito le tette balzarono fuori come se non aspettassero altro che esser succhiate. Le presi in bocca a turno, prima una e poi l’altra, mentre gliele palpavo con le mani. La mia lingua disegnava umidi cerchi attorno ai suoi capezzoli, che si facevano via via sempre più turgidi. La donna iniziò a mugolare, piano. Vidi le sue cosce nude, senza che me ne accorgessi si era sfilata la gonna, forse dalla troppa voglia divenuta anche per lei incontenibile.
Seppi trattenermi, non mi soffermai sul suo culo, perchè ora toccava a lei. Volevo che stesse sulle spine ancora per un po‘. Soprattutto per il fatto che ormai il mio cazzo implorava di uscire allo scoperto, i jeans mi stavano facendo male. Lei capì, in un secondo mi fu sopra, intenta a sbottonarmi la camicia. Chinata sul mio torso nudo, si mise a succhiarmi i capezzoli, e fece scivolare le sue morbide labbra femminili sempre più in fondo sul mio corpo. Arrivò alla cintura, e poi al bottone principale, infine alla cerniera e ogni ostacolo cedeva impassibile di fronte alla sua frenesia estatica. Giunse finalmente al mio cazzo, lo prese con le mani, massaggiandolo piano ma convinta. Si chinò baciando l’asta in tutta la sua lunghezza, dalla base alla cappella, che già era bagnata da una marea di liquido pre-eiaculatorio, sembrava fossi venuto. Avvicinò la sua bocca ai miei testicoli, e iniziò a succhiarmi con forza le palle, una alla volta. Pensavo me le volesse staccare da tanto succhiava. Subito dopo prese tra le labbra la cappella, baciandola e sfregandosela contro. Per qualche strana ragione non la succhiò, non mi concesse l’onore di un suo pompino, ma non me la presi. Fin da piccolo mi insegnarono che la perfezione non esiste sulla Terra, ognuno ha i suoi difetti, e forse è giusto così.
Mi sollevai di s**tto, la voltai sulla schiena scostandole di lato il perizoma che aderiva a perfezione al suo sedere piccolo e sodo, scoprendo il suo ano pulsante di voglia, perfettamente liscio, mi chiesi divertito se si fosse depilata, oppure se fossero stati i piselli che prendeva a rasarle i peli anche lì, in un dentro-fuori frenetico e incessante. Leccai il buchetto, era di un sapore unico, un po‘ sudato per via del caldo, sapeva terribilmente da femmina. M’inebriai a tal punto da non riuscire più a ragionare, mi stesi sopra di lei ed entrai nella sua fica, iniziando a scoparla. Premetti il naso contro i suoi capelli, volevo ubriacarmi del suo profumo. Miagolava sotto le mie spinte come una gattina in calore. Mi appoggiai alle ginocchia, facendola sollevare a sua volta, e la sbattei a pecorina. Questa posizione mi consentiva di tenere lo sguardo fisso sul suo buco del culo che veloce si allontanava per poi tornare ad impattare forte contro di me. Ora era lei a tenere il ritmo del gioco, era veramente una cagna insaziabile.
Non volli venir subito, così mi tolsi, piazzandomi sotto al suo corpo. Lei, ancora a pecorina, io sdraiato sulla schiena, l’afferrai per le chiappe e avvicinai il mio volto alla sua vulva, leccandogliela. Era incredibilmente bagnata, e le piccole labbra così arrapate da essere spalancate. Sembrava una finestra aperta sul mondo, desiderosa di accogliere tutti i cazzi che fosse stata in grado di contenere e di sopportare. Ansimò piano, poi sempre più forte, e infine venne sedendosi sulla mia faccia, la sua figa enorme avvolse per intero la mia bocca e il mio naso. Senza possibilità di respirare, mi ritrovai ad inghiottire tutta la sua voglia, era così abbondante che me la sentivo colare nel mento, e forse giù sul collo.
Stremata si accasciò nel letto, la guardai e le dissi: “No signora, non è il caso di gettare la spugna, manca l’ultimo round”. Mi lanciò uno sguardo malizioso, mentre con le mani si apriva per bene la vagina, invitandomi a penetrarla. La coprii, scivolavo sul suo corpo sudato, scopandola nella posizione del missionario. Divenni sempre più duro, sentivo le palle gonfie, stavo per scoppiare. Lei mi avvolse con le braccia, le sue unghie affondavano nella mia schiena, l’altra mano sul mio culo, di sicuro le piaceva sentire i miei glutei che ritmicamente pompavano il pene dentro e fuori dal suo corpo. Non ressi oltre, corrugai la ruga tra gli occhi e venni urlando, sentivo il cazzo pulsare ad ogni singolo fiotto di sperma che fuoriusciva dal buchetto sulla cappella. Sembrava non finire più, continuai a rimanere dentro di lei. Quando finalmente mi acquietai, scivolai fuori, mi mancarono le forze e caddi stremato accanto a lei. Mi abbracciò, sentii ancora una volta il suo profumo dolce mischiato ora ad una leggera nota di gradevole sudore femminile. Ero in paradiso, ne sono certo. Le mordicchiai scherzosamente un capezzolo, in segno di approvazione e di congedo.
Mentre raccoglievo i miei vestiti rimase sdraiata a gambe aperte sul materasso, potevo vedere il bianco fiotto di sperma che colava denso fuori di lei, scivolando lento sul buco del culo, accarezzandolo.
Me ne andai senza aprir bocca, non la salutai. Era giusto così, faceva anche questo parte del gioco. Non seppi mai che suono produceva la sua voce, in tutto quel tempo lei non disse una parola.
Tornai a casa, il sole s’appressava ormai a tramontare oltre il profilo scuro delle colline, e pensare che quel pomeriggio ero uscito solo per comprare le sigarette.