Pietro Aretino_Sonetti lussuriosi_libro I_ 1-5
Libro Primo
I
Fottiamci, anima mia, fottiamci presto
perché tutti per fotter nati siamo;
e se tu il cazzo adori, io la potta amo,
e saria il mondo un cazzo senza questo.
E se post mortem fotter fosse onesto,
direi: Tanto fottiam, che ci moiamo;
e di là fotterem Eva e Adamo,
che trovarno il morir sì disonesto.
– Veramente egli è ver, che se i furfanti
non mangiavan quel frutto traditore,
io so che si sfoiavano gli amanti.
Ma lasciam’ir le ciance, e sino al core
ficcami il cazzo, e fà che mi si schianti
l’anima, ch’in sul cazzo or nasce or muore;
e se possibil fore,
non mi tener della potta anche i coglioni,
d’ogni piacer fortuni testimoni
II
Mettimi un dito in cul, caro vecchione,
e spinge il cazzo dentro a poco a poco;
alza ben questa gamba a far buon gioco,
poi mena senza far reputazione.
Che, per mia fé! quest’è il miglior boccone
che mangiar il pan unto appresso al foco;
e s’in potta ti spiace, muta luoco,
ch’uomo non è chi non è buggiarone.
– In potta io v’el farò per questa fiata,
in cul quest’altra, e in potta e in culo il cazzo
mi farà lieto, e voi farà beata.
E chi vuol essre gran maestro è pazzo
ch’è proprio un uccel perde giornata,
chi d’altro che di fotter ha sollazzo.
E crepi in un palazzo,
ser cortigiano, e spetti ch’il tal muoja:
ch’io per me spero sol trarmi la foja.
III
Questo cazzo vogl’io, non un tesoro!
Questo è colui, che mi può far felice!
Questo è proprio un cazzo da Imperatrice!
Questa gemma val più ch’un pozzo d’oro
Ohimè, mio cazzo, ajutami, ch’io moro
e trova ben la foia in matrice:
in fin, un cazzo picciol si disdice,
se in potta osservar vuole il decoro.
– Padrona mia, voi dite ben il vero;
che chi ha piccol il cazzo e in potta fotte
meritera d’acqua fredda un cristero.
Chi n’ha poco, in cul fotti dì e notte:
ma chi l’ha come ch’io spietato e fiero,
sbizzarrischisi sempre colle potte.
– Gli è ver, ma noi siam ghiotte
del cazzo tanto, e tanto ci par lieto,
che terrem la guglia tutta drieto.
IV
Posami questa gamba in su la spalla,
et levami dal cazzo anco la mano,
e quando vuoi ch’io spinga forte o piano,
piano o forte col cul sul letto balla.
E s’in cul dalla potta il cazzo falla,
dì ch’io sia un forfante e un villano,
perch’io conosco dalla vulva l’ano,
come un caval conosce una cavalla.
– La man dal cazzo no levarò io,
non io, che non vo‘ far questa pazzia,
e se non vuoi così, vatti con Dio.
Ch’el piacer dietro tutto tuo saria,
ma dinanzi il piacer è tuo e mio,
sicché, fotti a buon modo, o vanne via.
– Io non me n’anderia,
signora cara, da così dolce ciancia,
s’io ben credess campari il Re di Francia.
V
Perch’io prov’or un sì solenne cazzo
che mi rovescia l’orlo della potta,
io vorrei esser tutta quanta potta,
ma vorrei che tu fossi tutto cazzo.
Perché, s’io fossi potta e tu cazzo,
isfameria per un tratto la potta,
e tu avresti anche dalla potta
tutto il piacer che può aver un cazzo.
Ma non potendo esser tutta potta,
né tu diventar tutto di cazzo,
piglia il buon voler da questa potta.
– E voi pigliate del mio poco cazzo
la buona volontà: in giù la potta
ficcate, e io in su ficcherò il cazzo;
e di poi su il mio cazzo
lasciatevi andar tutta con la potta:
e sarò cazzo, e voi sarete potta.