Scopa la cozza e godi.
Si chiamava Gerarda, vittima di uno di quei retaggi antichi che certe tradizioni perpetuano a danno di ignari bambini ( e non solo del meridione, ma anche del nord Italia, dove puoi trovare uomini che si chiamano Cecilio, Arianno, e donne, appunto, Gerarda ). Gerarda era una timidissima ragazza di genitori siculi, ma nata a Udine. Parlava perfettamente il friulano, ed era, visivamente, il tipico frutto di quei mari pulitissimi della Sicilia che guarda le coste africane: una cozza. Talmente bruttina, che nel locale dove lavoravamo a stagione, a Bibione ( Ve ), tutti la prendevano in giro. Era magrissima, aveva le gambe „a stecco“, vestiva abiti larghi, i capelli erano piuttosto trascurati, con un taglio simile a quello di chi si mette una ciotola in testa, una sorta di „Raffaella Carrà“, ma di colore castano chiaro. Aveva un paio di occhiali improponibili, che portava malamente appoggiati alla punta del naso. I denti erano piuttosto scuri, segno che oltre a fumare, il dentista l’ha visto solo sulle pubblicità televisive dei dentifrici e colluttori.
Faceva l’aiuto cameriera. Era abbastanza brava, ma la presenza non l’aiutava.
Il suo fidanzato, Gerlando, un siculo vero, veniva a riscuotere il suo stipendio ogni fine mese, dandole lo stretto necessario per vivere, così la poveretta non riusciva nemmeno a prendersi le cose di cui una donna aveva bisogno.
Così un giorno, d’accordo con i padroni del locale ( che avrebbero voluto cacciarla, tanto era brutta ), accompagnata da una collega andò al mercato a prendersi dei nuovi vestiti, poi dal dentista per una pulizia dentale, e poi dal parrucchiere. Tolse gli occhiali e mise le lenti a contatto.
Quando arrivò al locale, notammo il cambiamento. Ma rimaneva pur sempre una cozza. Senza tutto ciò che ricopre solitamente il guscio del mollusco, ma pur sempre di quello si trattava.
Ma a me stava simpatica, e ispirava tenerezza.
La sera decidemmo di uscire insieme, finito il lavoro, per andare a bere qualcosa e „festeggiare“ il suo nuovo look.
Poi tornammo nell’appartamento dove ognuno di noi aveva una stanza per dormire ( pagato dal padrone del locale ), e li continuammo a chiacchierare, finché lei si avvicinò, mi prese la faccia e mi baciò mettendomi la lingua in bocca. Il mio uccello ebbe la solita reazione che ha in questi casi, e cioè fece „hop!!“ e si alzò.
Lei senza una parola lasciò cadere il vestitino, e…..altro che cozza !! Aveva un corpo da favola !! Due tette dure come il marmo, due capezzoli che erano come due dadi di bullone, duri come l’acciaio. Un culetto sodo e morbido al tempo stesso, e la fichetta depilata, ma con un ciuffettino birichino sul monte di Venere.
Io non sapevo cosa dire, sapevo solo che come lei si allontanava dalla mia bocca, io ce la riportavo. Limonammo in piedi per almeno un quarto d’ora, poi mi feci spogliare, e andammo a letto. Iniziò a farmi un pompino con una foia e una fame incredibile. Pareva non vedesse il cazzo da anni. Il mio pisellino non era abituato a tanto „amore“, e gli lacrimò prima in faccia, e poi dentro la bocca. Forse era commosso…
Dopo la sborrata, lei continuò a leccarmelo, e me lo tirò su di nuovo, mentre con una mano si sgrillettava furiosamente.
Poi, andai io con la testa fra le sue gambe ed iniziai a leccarla. Era dolcissima, e mentre la leccavo, lei mi ripeteva „non posso crederci.. ti ho desiderato dal primo giorno, non posso crederci..“.
Venne così due volte, con la mia lingua li. La terza volta, venne a pecorina, col cazzo nella figa e il mio pollice nel culo, e fu talmente intenso l’orgasmo, che per qualche secondo, svenne.
Quando si riprese, mi disse:“ Ci riposiamo un po‘?“. Io ero esausto e non dissi di no. Andò nella sua stanza, ed io mi coricai. Erano circa le due del mattino.
Alle due e mezza, sentii che nel mio letto stava entrando qualcuno, accesi l’abat jour. Era lei, di nuovo nuda, che coricandosi vicino a me disse :“ Mi è tornata un po‘ di voglia..“.
Finimmo di scopare alle quattro e mezza, e le feci di tutto. La inculai, la scopai nella figa, mi feci succhiare il cazzo sborrandole in gola, poi, alla fine, la portai in doccia e la feci inginocchiare, pisciandole sulle tette. Come la mia urina calda le sfiorò il seno, ebbe un altro orgasmo. Credo sia venuta non meno di sei o sette volte.
La mattina seguente, verso le dieci, tornammo nel locale per preparare per il mezzogiorno, e lei era un tantino stravolta. Pure io ero stanco, ma riuscivo per il momento a dissimulare.
L’aspetto era il solito, quello della solita „cozza“, che nessuno si filava più di tanto.
Tutti quanti i miei colleghi sbavavano dietro alle tedesche, che te la davano solo se erano ubriache fradicie, mentre io, ogni notte, andavo a mettere il pisello nella mia dolcissima „cozza“. Durò così un mese e mezzo. Poi, all’improvviso, si licenziò. Credeva di essere rimasta incinta, e quando me lo disse, le dissi: „Lascia Gerlando e mettiti con me. Saremo felici insieme“. Lei mi disse di si, che avrebbe parlato con lui la sera stessa.
Invece già dalla sera stessa, non venne più al locale.
Non la rividi e non la risentii più, spero tanto nel mio cuore, che non le sia successo nulla di male, ma che abbia preferito stare col suo fidanzato.
Ma la piccola, dolce „cozza“, resterà sempre nel mio cuore come una delle più dolci e belle fiche che mi sia mai accaduto di scopare.